Oggi vi voglio raccontare come si è realizzata e che esito ha dato una consulenza psico-educativa che ho svolto quest’anno sul tema delle provocazioni.

Lucia (nome fittizio), educatrice, all’inizio di quest’anno mi aveva raccontato di trovarsi in difficoltà con un ragazzo frequentante il suo gruppo di aiuto compiti il quale con il suo comportamento stava ostacolando pesantemente l’attività e il clima all’interno del gruppo composto da 8 ragazzi. Stefano (nome fittizio) di 12 anni provocava in continuazione facendo qualsiasi cosa per impedire che Lucia comunicasse adeguatamente con lui e con gli altri: si alzava, girovagava per l’aula, parlava a voce alta, raccontava qualsiasi cosa non inerente al contesto, rovesciava i colori, si rifiutava di eseguire le richieste dell’attività. Gli altri compagni, alcuni si alleavano con Stefano contribuendo alla confusione, altri invece lo riprendevano e si mostravano insofferenti alla situazione. Lucia, conoscendo la difficile situazione famigliare, aveva telefonato alla mamma più volte per avvisarla del comportamento inadeguato e per chiederle consigli su come comportarsi, ma nonostante qualche miglioramento temporaneo, la situazione poi ritornava come prima. Lucia mi ha poi confessato che stava iniziando a valutare l’idea di chiederle di non mandare più Stefano al gruppo.

A questo punto l’ho fatta riflettere su due aspetti.

Innanzitutto, l’idea di escludere Stefano dal gruppo sarebbe stata apparentemente una soluzione utile e facile per lei in quanto educatrice e forse anche per il gruppo (“via il dente, via il dolore”), ma di certo non lo sarebbe stata per Stefano. Per lui sarebbe stato molto probabilmente un rifiuto di se stesso, della sofferenza che probabilmente manifestava attraverso quel comportamento; ma, osservando più attentamente, sarebbe stato un passo negativo anche per gli altri ragazzi che avrebbero imparato che quando qualcuno non ci piace o ci disturba occorre eliminarlo e non cercare di andargli incontro accogliendolo e approfondendo la questione; e a ben vedere, sarebbe stato un fallimento anche per l’educatrice che, per il ruolo che riveste, dovrebbe includere e non escludere.

Come secondo elemento, è possibile che una situazione famigliare difficile e complessa possa essere alla base di un comportamento inadeguato ma ciò che deve interessare maggiormente l’ educatrice è la gestione delragazzo nel gruppo specifico che sta seguendo. Ciò che è determinante, è capire quali bisogni Stefano cerchi di soddisfare attraverso quel comportamento e trovare, quindi, il modo più adeguato possibile per rispondervi.

Quindi, quali bisogni possono essere alla base di tali comportamenti provocatori e disturbanti? Solitamente questa tipologia di comportamenti risponde a bisogni di attenzione e riconoscimento.

Come fare quindi?

Ho suggerito a Lucia di fare i seguenti passi:
1. Parlare con Stefano singolarmente per dirgli di aver capito la sua difficoltà nel stare nel gruppo e nel seguire l’attività e per autorizzarlo a fare un giretto nell’aula se ne sentisse il bisogno, ma senza disturbare, per poi riprendere appena si sentisse in grado o interessato a farlo
2. Gratificarlo di fronte al gruppo ogni volta che dimostra di saper comportarsi in modo adeguato
3. Chiamare la mamma per informarla dei comportamenti positivi messi in atto da Stefano

Lucia, al secondo incontro a distanza di 2 settimane mi ha riferito di aver fatto tutte e tre le operazioni suggerite e di aver riscontrato notevoli miglioramenti. Subito dopo averlo preso in disparte per dirgli quanto da me suggerito, Stefano ha iniziato a partecipare di più all’attività, ha smesso completamente di mettere in atto comportamenti provocatori, accettava il richiamo alla regola e non ha nemmeno utilizzato la possibilità di fare delle pause nonostante Lucia glielo avesse proposto in un momento di apparente stanchezza.
Lucia, facendo questi piccoli interventi, ha dimostrato a Stefano di essere dalla sua parte e questa “alleanza guidata” gli ha dato quel contenimento emotivo di cui probabilmente Stefano aveva bisogno. Voleva che la sua volontà di non seguire le attività fosse veramente presa sul serio e il semplice concedergli questa possibilità è stata sufficiente per motivarlo a seguire. L’apprezzamento di fronte al gruppo in alternativa ai rimproveri, e l’apprezzamento comunicato alla mamma, non ha fatto altro che rafforzare questa sua motivazione al compito.
Tale comportamento si è poi mantenuto per tutto il percorso di aiuto compiti con grande soddisfazione anche dei compagni che, da quanto mi ha riferito Lucia, si sono accorti piacevolmente del cambiamento.

E a voi è mai successo di trovarvi alle prese con le provocazioni di qualche bambino? Se avete piacere di condividere la vostra esperienza nei commenti vi ringrazio in anticipo!

Dott.ssa Serena Costa, psicologa dell’infanzia (serenacosta.it@gmail.com)

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