Il bilinguismo in Italia è un fenomeno molto diffuso in quanto la presenza di bambini immigrati di prima generazione o stranieri di seconda generazione (figli di immigrati ma nati in Italia) si sta facendo sempre più importante. A questo però non si associa una relativa diffusione di conoscenze su cosa sia il bilinguismo e sull’effettiva utilità per i bambini. Vediamo ora quali sono gli ultimi apporti delle ricerche in questo campo tratti dalla rivista Psicologia e Scuola, “Il Bilinguismo a scuola” 46, articolo di Viterbori, Gandolfi e Scopesi.
Bilinguismo realtà complessa
Per “bilinguismo” innanzitutto non si intende una realtà omogenea fatta solo di persone che conoscono bene due o più lingue diverse. In realtà gli studi che sono stati fatti su questo tema mettono in evidenza che per “bilinguismo” si intendono situazioni diverse a seconda dell’età di esposizione alla seconda lingua, al grado di indipendenza tra le due lingue e al livello di competenza raggiunto nelle due lingue. Si parla di:
- bilinguismo precoce se si sviluppa nei primi 6 anni di vita: è il caso di bambini arrivati nel nostro Paese quando erano piccoli oppure semplicemente bambini nati in Italia ma figli di immigrati che sono stati esposti alla lingua italiana frequentando ad esempio il nido o la scuola materna;
- bilinguismo tardivo se si sviluppa dopo l’inizio della scolarizzazione: è il caso di bambini arrivati nel nostro Paese che hanno già iniziato un processo di scolarizzazione nella loro lingua madre o che si ritrovano a farlo qui in Italia con la seconda lingua;
- bilinguismo simultaneo se le due lingue vengono apprese nello stesso momento: il caso tipico è rappresentato dai bambini figli di coppie di lingua diversa che espongono da subito il nuovo arrivato alle due lingue dei genitori;
- bilinguismo consecutivo se la seconda lingua viene appresa successivamente all’apprendimento della prima lingua: è il caso dei bambini figli di immigrati che arrivano in Italia già grandini o dei bambini che vengono esposti alla lingua madre di un genitore solo più avanti con l’età ad esempio a causa di un rientro nel Paese di origine o di un contatto con qualche parente o scuola;
- bilinguismo subordinato se le due lingue sono dipendenti l’una dall’altra: questo accade quando un bambino per poter parlare o scrivere nella seconda lingua fa riferimento alla sua lingua madre aiutandosi ad esempio con alcune somiglianze nel lessico o nelle strutture grammaticali;
- bilinguismo coordinato se le due lingue sono indipendenti: è il caso di quei bambini che ormai hanno raggiunto una buona competenza in entrambe le lingue tanto da non dover più accedere alla lingua madre per parlare o scrivere nella seconda lingua;
- bilinguismo bilanciato se il grado di competenza nelle due lingue è uguale; è il caso di quei bambini che conoscono un numero simile di vocaboli tra le due lingue e che riescono a passare da una lingua all’altra con disinvoltura a seconda del contesto in cui si trovano o della persona che hanno davanti;
- bilinguismo dominante se il grado di competenze tra le due lingue è diverso; è il caso dei bambini stranieri che stanno apprendendo la seconda lingua e che quindi possiedono meno vocaboli e manifestano più errori in una delle due lingue.
Bilinguismo: vantaggio o svantaggio?
Un altro aspetto che le ricerche hanno cercato di comprendere è se il bilinguismo costituisce uno svantaggio o un vantaggio per i bambini. Gli studi mettono in evidenza che nel caso del bilinguismo precoce e simultaneo non ci sono alterazioni nel corso tipico dello sviluppo linguistico e che i bambini imparano le due lingue senza particolare fatica. Nel caso, invece, del bilinguismo consecutivo sono maggiori le difficoltà per lo meno all’inizio perché per poter apprendere la seconda lingua il bambino deve passare dalla propria lingua madre cercando somiglianze, differenze. Lo svantaggio che possono avere i bambini che parlano l’italiano come seconda lingua è che hanno a disposizione meno vocaboli perché un’altra parte di vocaboli che possiedono riguardano l’altra lingua. Inoltre l’esistenza di due parole per uno stesso oggetto li rende meno veloci nella ricerca dei termini corretti.
Sebbene molte statistiche mettano in evidenza che oggi gli studenti stranieri hanno risultati scolastici inferiori ai bambini italiani, le ricerche ci dicono che in alcune condizioni il bilinguismo in realtà rappresenta anche una risorsa per i bambini.
I bambini bilingui sviluppano una maggiore flessibilità cognitiva, cioè riescono con più facilità ad adattarsi a nuove situazioni di apprendimento e a passare da un compito all’altro, resistendo maggiormente alle interferenze; questo li avvantaggia nella capacità di risolvere problemi (problem solving) anche trovando soluzioni creative.
I bambini bilingui sviluppano una migliore capacità metalinguistica, cioè imparano prima il fatto che il linguaggio rappresenta arbitrariamente la realtà in quanto loro hanno l’esperienza di avere a disposizione due parole diverse per lo stesso oggetto. Inoltre, la migliore capacità di ragionare sui suoni delle parole li facilita nell’apprendimento della lettura e della scrittura.
I bambini esposti precocemente a due lingue diventano maggiormente competente da un punto di vista della pragmatica della comunicazione, cioè imparano presto ad adattare la propria comunicazione alle caratteristiche dell’interlocutore che, ad esempio, non conosce una delle due lingue. Diventano, quindi, più capaci di interpretare segnali di ambiguità. L’allenamento a chiedersi quali sono le capacità di comprensione o espressione dell’interlocutore li porta a sviluppare prima una teoria della mente, cioè diventano più consapevoli del fatto che le persone possono vedere o sentire le cose da una prospettiva differente.
Un’altro concetto importante che le ricerche hanno permesso di comprendere è che il bilinguismo non è di per sé un vantaggio per i bambini ma lo è solo in alcune condizioni, cioè quando il bambino ha sviluppato una buona competenza almeno nella lingua madre e, meglio ancora, se ha sviluppato un’elevata competenza in entrambe le lingue.
Il contesto sociale e culturale in cui vive il bambino bilingue è però determinante nel mantenere attiva la lingua madre o nel farla dimenticare. Un contesto familiare con un livello socio economico buono può essere attento ai bisogni formativi dei bambini e per questo può favorire lo sviluppo della propria lingua madre, così come poi della seconda lingua; situazioni di disagio socio-economico, invece, tendono a mantenere basso il livello di sviluppo della lingua madre e di conseguenza anche della seconda lingua. Anche la scuola però ha il suo ruolo perché un insegnante favorevole al bilinguismo può impostare attività didattiche che valorizzino il contributo degli alunni nelle loro lingue madri, mentre insegnanti che utilizzano una didattica tradizionale potrebbero sfavorirlo.
Ecco, quindi, che diventa importante incoraggiare il ricordo e lo sviluppo della lingua madre anche se il bambino vive in un contesto dove la seconda lingua, l’italiano nel nostro caso, è apparentemente più importante; questo perché una migliore conoscenza della prima lingua può aiutare nell’apprendimento della seconda (ipotesi dell’interdipendenza linguistica di Cummins 1979).
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